Dental perspectives on the Italian approach to the COVID-19 pandemic

Intervista rilasciata dal Dr. Ferruccio Berto, Vicepresidente Nazionale e Responsabile Commissione Esteri ANDI alla rivista Open Access Government leggi articolo originale

Come si è propagato ed è stato gestito il COVID in Italia?

L’Italia è stato il primo paese europeo colpito con violenza dalla pandemia di SARS-CoV-2. Una serie di misure locali volte a contenere il contagio sono sfociate in un lockdown nazionale, proclamato tra il 9 Marzo e il 4 Maggio 2020; fortunatamente, questa decisione al tempo molto sofferta ha permesso di appiattire rapidamente la curva dei contagi, in quel momento molto ripida. Se non si fosse intervenuto in queste forme, è plausibile che il Sistema Sanitario Nazionale, già allo stremo di fronte alla pandemia, sarebbe stato travolto dall’aumento esponenziale dei casi. A seguire, si è preferita una strategia più misurata, fatta di tracciamento dei contagi, testing di massa e restrizioni alla mobilità e alle attività a livello localizzato. Tuttavia, per motivi estremamente diversificati, sui quali sarebbe difficile relazionare con precisione nello spazio a disposizione, i risultati di questa seconda fase di monitoraggio si sono rivelati parziali; le crepe in questo sistema hanno portato al restringimento delle misure di prevenzione e l’istituzione di zone di rigore a livello regionale, tra l’autunno e l’inverno passati.

C’è stato un principio guida nella risposta all’emergenza?

Sin dall’inizio della pandemia, i dentisti italiani hanno deciso di limitare la loro operatività alle sole procedure urgenti; a differenza di molti altri paesi europei, questa operatività parziale ha tuttavia permesso a gli studi di rimanere aperti – se non che in situazioni molto specifiche. La decisione di non chiudere completamente gli studi è nata da una considerazione sulla natura dell’odontoiatria italiana, incarnata per la maggior parte da cliniche di libera professione, piccole per dimensione e numero di personale operante ma per questo numerose e fortemente integrate nel territorio. Trasferire la totalità dei nostri pazienti agli ospedali sarebbe stato estremamente complesso, e in ultima analisi controproduttivo: avrebbe voluto dire, infatti, deferire immediatamente a strutture già sovraccariche e a rischio dal punto di vista epidemiologico una mole di pazienti, costringendoli a muoversi a volte per lunghe distanze per radunarsi tutti in un solo centro. Questa soluzione, quindi, ha permesso di continuare a monitorare la salute dei nostri pazienti – non solo la salute orale – e intervenire quando necessario, senza modificarne le abitudini e limitando la diffusione del contagio.[1]

Come ha risposto la professione alla pandemia?

A più di un anno di distanza da quei tragici eventi, bisogna ricordare come, inizialmente, il fatto che il virus SARS-CoV-2 fosse presente in Italia da qualche mese non era una informazione in nostro possesso;[2] in assenza di dati aggregati sul medio e lungo periodo e di conoscenze adeguate sull’incisività e le modalità di trasmissione del virus, a fine Febbraio 2020 l’aumento verticale dei casi sembrava inarrestabile. Non c’è quindi da stupirsi se il primo impatto sul mondo dell’odontoiatria, su dentisti, assistenti e pazienti allo stesso modo, a livello emotivo e psicologico oltre che clinico, sia stato pesante; una situazione, questa, che durante l’anno passato si è riscontrata in tutto il globo, mentre associazioni di molti altri paesi riportavano condizioni analoghe nei propri contesti.[3] Tuttavia, è merito dalla tenacia dei nostri colleghi e della fiducia dei nostri pazienti se le cliniche sono riuscite a rimanere operative durante tutto il lockdown, e hanno aperto non appena questo si è concluso. Anche se i dati in nostro possesso sono ancora incompleti, non sembra ci sia stato un netto deterioramento della salute orale degli italiani durante la pandemia: il perdurare delle procedure di urgenza ha evitato l’accumulo di pazienti con condizioni cliniche complesse, favorendo il ritorno alla prevenzione e agli interventi ristorativi in tempi brevi. La flessione nell’amministrazione delle cure, che ovviamente abbiamo registrato, si sta pertanto colmando progressivamente.

Qual’è stato l’orizzonte operativo di ANDI?

ANDI ha lavorato accanto all’Ordine Nazionale dei Dentisti (CAO) sin dalle prime avvisaglie di pandemia, per portare al Ministero della Sanità il parere della professione su come approcciare la crisi. Una commissione di inchiesta a livello nazionale era già attiva a Gennaio, grazie al coinvolgimento di eminenti figure in campo epidemiologico e sanitario, e ha lavorato per elaborare linee guida per consentire alla professione di lavorare in sicurezza. La commissione ha inoltre organizzato acquisti massicci e distribuzioni a prezzo calmierato di DPI, supportato studi sull’efficacia delle protezioni utilizzate in campo odontoiatrico e, al rientro del picco dell’emergenza, guidato il processo di apertura. In generale, questo gruppo di lavoro ha costituito un terreno controllato per sviluppare proposte condivise sulla base di dati scientificamente fondati e in costante aggiornamento, all’interno del quale tutti gli attori interessati alla salute orale in Italia hanno potuto confrontarsi e discutere, evitando così i rischi di una comunicazione caotica o contraddittoria con lo Stato e i media.

Obiettivo centrale e di largo respiro, dopo la protezione della professione e la garanzia della sua operatività di base, è stato quello di testimoniare l’importanza e la necessità – oltre che la sicurezza – della medicina odontoiatrica anche, e forse soprattutto, durante una pandemia. Come riportato da diverse fonti,[4] una iniziale inabilità a livello internazionale di prendere parte al processo decisionale inerente alla gestione della sanità di base in un momento di emergenza ha alimentato la proliferazione di notizie spesso viziate, sensazionalistiche e parziali, riguardanti le scarse misure di sicurezza e l’alto rischio di contagio relativo alla medicina odontoiatrica. Molte ricerche, ad oggi, hanno provato come queste paure fossero in buona parte infondate. Attenendosi alle misure di prevenzione e sicurezza e gestendo oculatamente il personale di studio oltre che l’afflusso di pazienti, le cliniche odontoiatriche sono state in grado di minimizzare il rischio di infezione.[5] I dati a nostra disposizione ci permettono di confermare, con l’esperienza nazionale, queste conclusioni. Durante l’anno passato, non ci sono stati focolai o contagi di massa direttamente legati a cliniche odontoiatriche. Meno dell’8% dei clinici deceduti a causa di COVID-19 in Italia è costituito da personale odontoiatrico; metà di questi casi si sono concentrati nei primi mesi della pandemia, quando il testing e il tracciamento dei contatti era sporadico, l’approvvigionamento di DPI difficoltoso e le misure preventive ancora non uniformemente applicate. Dati tragici, ma che tuttavia partecipano alla tragedia che tutto il settore medico italiano ha conosciuto, non conferendo alcun macabro primato agli odontoiatri.

Eppure, il pregiudizio contro la clinica odontoiatrica e la capacità dell’odontoiatra di operare in sicurezza non ha fatto che alimentare un pregiudizio diffuso, soffiando sulle braci di un pensiero che speravamo morto da tempo: l’immagine della salute orale come quella di un bene di consumo, o peggio ancora di un privilegio legato al rango di alcuni, e non al benessere di tutti; qualcosa che si possa posticipare o sospendere liberamente, senza vere conseguenze per la comunità. Una visione miope, provata sbagliata e infondata in numerose occasioni, [6] che purtroppo questa crisi ha visto rinvigorirsi, anche in consessi insospettabili.

Quale immagine per l’odontoiatria del futuro?

Temo che chiedersi cosa sarà dell’odontoiatria in un mondo senza COVID costituisca una domanda speranzosa, ma ancora piuttosto prematura. La vera domanda, oggi, è come assicurare l’accessibilità alle cure odontoiatriche ad un paese che ancora sta conoscendo una situazione emergenziale, in alcuni casi anche acuta. Durante l’anno passato, pazienti di tutto il mondo si sono trovati ad affrontare limitazioni assonanti in fatto di accessibilità alla medicina odontoiatrica; questo, in alcuni contesti, ha portato ad una flessione preoccupante della salute orale. Inoltre, i dati in nostro possesso sul processo di immunizzazione ci fanno intuire come questo stia procedendo ad un passo più lento di quanto sperassimo, e come la distribuzione dei vaccini anti COVID stia registrando grandi disparità a livello internazionale. Le continue variazioni del virus, infine, appaiono oggi come un ostacolo di non poco conto alla riuscita del piano di immunità globale. Non possiamo quindi continuare a posticipare le necessità della cura del paziente odontoiatrico in un futuro post pandemico; al contrario, dobbiamo continuare a sottolineare nel presente la necessità delle cure odontoiatriche come mezzo per promuovere la salute e il benessere comune, nonostante i rigori della pandemia.

Gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questo progetto sono numerosi, e sembrano riproporsi in maniera affine in Italia come all’estero. In primo luogo, il numero dei pazienti visitati nelle nostre cliniche, anche se in stabile aumento, è ancora distante dal valore pre-pandemico.[7] Questa defezione si deve, come ricordavamo prima, ad una incauta demonizzazione della professione; ma, più direttamente, ha a che fare con la crisi sociale che stiamo affrontando e che saremo chiamati ad affrontare nei prossimi mesi. Disoccupazione e sottocupazione rischiano di allontanare molti pazienti dai nostri studi, soprattutto in contesti – fortunatamente, non è questo il caso del nostro Paese – dove, per far fronte all’aumento delle spese, i costi delle cure sono aumentati. Questo trend colpisce in particolare quei gruppi sociali che già appaiono sottorappresentati nella copertura sanitaria odontoiatrica: migranti di prima e seconda generazione, anziani, lavoratori non specializzati o saltuari, disabili e pazienti a rischio. Se non affrontata per tempo, questa crisi andrà a minare un modello di successo per l’odontoiatria, quello che propone una gestione della salute orale basata non sul grande intervento una tantum, ma sulla prevenzione e il controllo nel lungo periodo; un modello che, da più parti, si è dimostrato essere più sicuro, più efficace, e più efficiente in termini economici tanto per i professionisti che per i pazienti. Un modello all’interno del quale la salute orale, parte integrante di una visione composita della salute generale, contribuisce al benessere sociale e personale dell’individuo e della comunità.[8]

In conclusione, quello che serve ora è una azione ampia e condivisa, in grado di ribadire l’importanza della salute orale come parte integrante del benessere della persona. Solo con azioni mirate, una comunicazione adeguata e il supporto delle associazioni internazionali questo obiettivo sarà raggiungibile. Da questo punto di vista, il 2021 sta per ora andando nella giusta direzione; quello che serve ora è una azione in grado di tradurre questi progetti in realtà.[9]


Note

[1] Comunicato ANDI-CAO-AIO, primo comunicato unito dal mondo dell’odontoiatria per garantire l’operatività in sicurezza e la salute dei pazienti (8 Marzo 2020).

[2] Accanto alle ricerche effettuate dall’ISS, riportiamo anche l’articolo “Unexpected detection of SARS-CoV-2 antibodies in the prepandemic period in Italy.” Ricordiamo come, al momento della proclamazione del lockdown nazionale, il primo caso di COVID-19 confermato in Italia risalisse solo al 30 Gennaio.

[3] Per citare solo alcuni esempi a riguardo: Coronavirus: Three things you can do for your mental wellbeing, British Dental Association; Maintaining mental health, wellness during COVID-19 pandemic American Dental Association. Dalla letteratura citiamo invece “The Mental Health Consequences of Coronavirus Disease 2019 Pandemic in Dentistry”.

[4] Dentistry and patient safety during the COVID-19 pandemic, Council of European Dentists; FDI World Dental Federation Statement.

[5] Riportiamo per esempio Aerosols modification with H2O2 reduces airborne contamination by dental handpieces.

[6] In termini generali rimandiamo a WHO Health Topic: Oral Health, e FDI Statement: Oral Health and Quality of Life.

[7] Stando ai dati forniti dal Centro Studi ANDI, ad oggi ancora in elaborazione, l’afflusso dei pazienti alle cliniche odontoiatriche del nostro Paese ha conosciuto una flessione del 25-30%.

[8] Dal 2019, le Nazioni Unite hanno riconosciuto l’importanza della salute orale all’interno dei programme di medicina di base. Vedi Universal health coverage: moving together to build a healthier world.

[9] Ci riferiamo in special modo al report FDI Vision 2030 e all’ Oral Health agenda approvata dal 148° Consiglio Esecutivo dell’OMS.