In dirittura di arrivo la laurea abilitante per Odontoiatria.

Durante il primo lockdown il Governo ha predisposto il decreto Cura Italia, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 marzo 2020 entrando così in vigore. Tra le misure contenute nel decreto, per rispondere all’esigenza sempre più pressante di nuovo personale nelle strutture sanitarie, il Governo ha introdotto la laurea abilitante in Medicina.

Dopo Medicina, il legislatore ha previsto che si possano sostenere tesi di laurea e abilitazione nella medesima sessione (fatto salvo il completamento preventivo del percorso formativo) anche per altri corsi in laurea, tra i quali Odontoiatria e Protesi Dentaria.

La Commissione Albo Odontoiatri (CAO), con il suo Presidente nazionale Dott. Raffaele Iandolo, è stata da subito in prima linea per sostenere e favorire questa iniziativa e, più in generale, per incoraggiare e sostenere un veloce inserimento dei giovani Odontoiatri nel mondo della professione, come spiega dettagliatamente nell’intervista che segue.

Presidente Iandolo, Le richiediamo un commento sull’evoluzione della formazione universitaria abilitante per la laurea in Odontoiatria

Non è ancora definitiva l’approvazione della laurea abilitante, poiché deve completare ancora il percorso parlamentare e speriamo che lo completi al più presto, così da poter allineare la questione riguardante la laurea abilitante in Odontoiatria a quella che invece è passata per decreto per quanto concerne il laureato in Medicina. Siamo molto soddisfatti del fatto che sia in corso di eliminazione, per i motivi che ho appena detto, l’esame di Stato per la professione di Odontoiatra e quindi per abilitare il laureato in Odontoiatria, in quanto l’esame era diventato ormai un inutile duplicazione, di fatto, dell’esame di laurea e, devo dire, con esito praticamente scontato.
Di conseguenza, non si andava a verificare l’efficacia della formazione che era originariamente l’obiettivo dell’esame di Stato.

Il sesto anno, che è stato aggiunto all’iniziale corso di laurea che prevedeva cinque anni, rende la durata del corso di laurea in Odontoiatria italiano maggiore, rispetto a quella dei corsi di laurea a livello europeo e dovrà essere utilizzato per qualificare meglio, dal punto di vista del tirocinio classico, il laureato in Odontoiatria, in modo tale di consentirgli di arrivare alla professione con una preparazione migliore, soprattutto dal punto di vista del paziente, come gli Ordini prevedono sempre di fare: a tutela della salute del paziente.

Come può l’Università sostenere l’ingresso nel mondo del lavoro?

L’Università sta cambiando, nel senso che ha una maggiore attenzione nel preparare gli studenti ad inserirsi nel mondo del lavoro. Noi stessi, in collaborazione con le associazioni di categoria, quindi ANDI, AIO, ma anche con Enpam e con le istituzioni universitarie, abbiamo elaborato un progetto che sia chiama “Avvio alla professione”, che contiene un vero e proprio insegnamento che consta di due crediti formativi universitari, da espletare nell’ambito del sesto anno e che contiene informazioni dal punto di vista sindacale, organizzativo ed ordinistico, ma anche dal punto di vista previdenziale: un contributo di conoscenze extracliniche utile per consentire al laureato in Odontoiatria un consapevole ingresso dalla fase di formazione universitaria al mondo del lavoro.

Credo che lo strumento del sesto anno vada perfezionato, perché è vero che, se da una parte questo periodo funge di fatto da tirocinio abilitante, una volta che verrà approvata la norma sulla laurea abilitante, è altrettanto evidente che non in tutte le sedi si riesce a preparare in maniera ottimale lo studente ad entrare nel mondo del lavoro una volta laureato. Su questo riscontro, tuttavia, un impegno generale da parte dell’Accademia a rispettare il compito di preparare adeguatamente il laureato in Odontoiatria ad essere pronto per l’ingresso nella professione.            

 Può esserci un rapporto di compatibilità tra pubblico e privato in ambito odontoiatrico, e se sì in che forma?

Il rapporto di compatibilità c’è assolutamente e ci dovrà essere: è uno dei nostri obiettivi. Noi crediamo che lo Stato debba farsi carico delle persone deboli dal punto di vista economico e dei pazienti fragili, sia per questioni cliniche sia per età, quindi pazienti particolarmente giovani o particolarmente anziani. Il servizio pubblico deve diventare sempre più un servizio adeguato ai tempi che cambiano, quindi anche dal punto di vista clinico ci deve essere un discorso che guardi alla qualità che viene sempre più richiesta dai pazienti: un servizio che sia sempre più moderno e qualitativamente aggiornato.

Quali correttivi ulteriori si ritengono opportuni per un riassetto del settore?

Se vogliamo mettere in atto degli interventi immediati dobbiamo guardare soprattutto a rendere più praticabile l’accesso dei pazienti negli studi odontoiatrici. Ancora oggi, oltre il 90% delle prestazioni di tipo odontoiatrico vengono infatti effettuate privatamente, anche per le caratteristiche della gestione della terapia in odontoiatria che ha bisogno di un modello diffuso sul territorio. Dobbiamo tuttavia provvedere affinché il paziente possa accedere più facilmente alle cure: attualmente l’accesso dei pazienti negli studi odontoiatrici, percentualmente, è ridotto rispetto a quelle che sono le esigenze generali e questo è dovuto sia a questioni, obiettivamente, di costo ma, soprattutto in questo periodo, per una mancanza di predisposizione dal punto di vista dei consumi da parte dei pazienti.

La somma dei vari fattori provoca, in generale, una riduzione degli accessi, rispetto alla quale dobbiamo mettere in campo una serie di correttivi, sia da un punto di vista fiscale sia da un punto di vista organizzativo, per evitare l’aggravamento dello stato di salute oro-dentale del cittadino.

Serve, inoltre, una diversa strutturazione dei fondi sanitari integrativi, nonché la correzione delle norme che riguardano attualmente l’esercizio dell’attività di odontoiatria in forma societaria.
Dobbiamo muoverci su varie direttive, in maniera tale di favorire sempre di più l’accesso del paziente alla cura del suo cavo orale per gli interventi di prevenzione e per le terapie odontoiatriche: anche negli studi privati, che oggi rappresentano in massima parte l’offerta dal punto di vista odontoiatrico.

Per assicurare, poi, il miglioramento e l’ampliamento del servizio pubblico, dobbiamo impegnarci per un’assistenza ottimale anche per quei pazienti deboli da un punto di vista economico e particolarmente fragili, di cui ho parlato prima, che ancora oggi non riescono ad accedere alla rete degli studi odontoiatrici privati.

Quale potrebbe essere il contributo di ANDI allo sviluppo del sistema?

ANDI oggi rappresenta 27 mila iscritti all’Albo degli Odontoiatri. Quelli realmente impegnati nella professione odontoiatrica sono poco più di 50 mila, quindi ANDI ne rappresenta più della metà.

È evidente che nell’ambito di un’intesa fra il sindacato e la Commissione nazionale dell’Albo Odontoiatri, che ad oggi è ottimale, ANDI dovrà dedicarsi a quelle tematiche e a quelle criticità che sono tipicamente sindacali: quindi gli aspetti che riguardano soprattutto la gestione sindacale degli interessi dei singoli dentisti.

Dobbiamo pertanto integrare l’azione ordinistica, che bada, in generale, alla correttezza professionale e alla tutela della salute del cittadino, con quella sindacale, che è più rivolta agli interessi del singolo dentista, in modo che le due azioni vadano perfettamente d’accordo nel cercare di riformare quelle criticità di cui ho parlato in precedenza.