Previdenza significa pensarci per tempo

di Alberto Oliveti/Presidente Fondazione Enpam

Essere previdenti significa innanzitutto pensarci per tempo e agire di conseguenza.

Cioè porsi il problema, informarsi sulla questione (Ahi! La cultura previdenziale, questa sconosciuta… e chi ce l’ha mai insegnata?), ragionare su quanto ci servirà un domani per vivere tranquilli (l’adeguatezza della pensione) e su quanto possiamo mettere da parte (il differimento del reddito), allargare prudentemente l’orizzonte mentale su ciò che ci potrebbe servire durante l’esercizio della professione (il welfare e l’assistenza) e poi cercare di mettere in atto il percorso in tal modo delineato, scegliendo, per quanto possibile, con chi farlo (guardando alla solidità e alla sostenibilità), il tutto sorvegliando i cambiamenti della vita – che cambia, eccome – anche per eventuali adattamenti in itinere.

Occorre inoltre conoscere la differenza tra risparmio finanziario e previdenziale, che sono diversi per finalità e funzionamento, anche fiscale. Previdenza vuol dire anche investimenti, mutui e gestione del credito, necessari per l’esercizio della professione. In questo campo la trasformazione tecnologica in corso ha ampliato l’offerta, ma anche i rischi. Ciò può confondere i poco pratici mentre è ben risaputo che conoscere i rischi aiuta a prendere decisioni razionali. 

In sintesi, prima ci pensi, meglio costruisci il futuro benessere finanziario tuo e dei tuoi.  

Le mie tre parole chiave in materia sono da sempre lungimiranza, consapevolezza, tempestività (“Bisogna saper scegliere il tempo, non arrivarci per contrarietà”, cantava Guccini).

Ritengo infatti che la saggezza in campo previdenziale sia prendere consapevolezza dei propri bisogni futuri prima possibile, anche in relazione alle proprie esigenze umane, professionali e familiari, agendo poi per tempo con conseguenza logica e razionalità di prospettiva. Utilizzando, tra l’altro, i supporti che la comunità professionale di riferimento offre anche in termini di conoscenze e di garanzie.

È difatti preciso compito delle organizzazioni professionali di riferimento, con i propri organismi competenti, intermediare la complessità di questo mondo con interventi di alfabetizzazione previdenziale, di supporto alla decisione, di sostegno alla pianificazione, di garanzia sulle gestioni.

Per entrare nel pratico, credo che il primo passo per un odontoiatra consista nell’entrare nell’area riservata del sito Enpam e consultare con attenzione la propria “busta arancione” e scaricare il pdf con l’ipotesi di pensione di Quota B.

Il documento mostrerà tre importi. Il primo corrisponde all’assegno che riceverò se, di qui alla pensione, i miei redditi saranno pari alla media di tutti quelli avuti fino ad oggi. La seconda ipotesi simula invece la pensione sulla base dei redditi degli ultimi tre anni. Infine, nella terza ipotesi si prevede di continuare ad avere, da adesso all’età pensionabile, il reddito dell’ultimo anno. 

Sta a ciascuno decidere qual è lo scenario più plausibile.

È importante capire che l’ipotesi calcolata non mi dice quanta pensione ho maturato sulla base dei contributi già versati (per questo non sarebbe stato necessario mettere in piedi il complesso sistema elaborato dall’Enpam), dunque la cifra indicata non aumenterà anno dopo anno, in base ai nuovi contributi versati. 

Si tratta invece di una vera e propria proiezione nel futuro. In altre parole, l’importo che vedo oggi corrisponde – approssimativamente ¬– al lordo mensile che riceverò al momento di andare in pensione. A questa somma andrà aggiunta la pensione di Quota A.

Se l’importo totale è soddisfacente, bene. Se non lo è, occorre subito togliere la testa dalla sabbia e valutare il da farsi. Per aumentare l’importo della pensione ci sono varie possibilità, a partire dai riscatti (di laurea, di allineamento, ecc) passando per la pensione integrativa di Fondo Sanità. Tutte ipotesi efficaci anche per abbattere il peso fiscale, giacché i versamenti contributivi godono della deducibilità. 

Il mondo è fortemente cambiato rispetto ad alcuni decenni fa, quando un libero professionista pensava che non avrebbe mai smesso di lavorare o che, comunque, per affrontare la vecchiaia sarebbero bastati i risparmi personali accantonati. Si pensi che fino al 1990 gli odontoiatri non avevano nemmeno una pensione, al di fuori di quella di Quota A. 

Da allora le tutele previdenziali sono state introdotte e rafforzate progressivamente, lasciando comunque agli iscritti un ampio margine di flessibilità. Non è un caso che ad oggi l’obbligo contributivo Enpam per un libero professionista puro si limiti a un’aliquota del 18,5%, mentre un libero professionista iscritto all’Inps deve pagare il 25,72% e un dipendente il 33% (oltre ai contributi specifici che servono a finanziare le assenze per malattia e l’assicurazione infortuni). 

Costruirsi una cultura previdenziale, partendo dai numeri veri e confrontando la realtà con le proprie aspettative, è fondamentale per non restare spiazzati da un futuro che è già arrivato ed è fatto di problemi lavorativi che impattano più sui giovani, specie se donne e se abitanti al Sud della Penisola, e soprattutto se soggetti alla frammentarietà e saltuarietà dell’occupazione e alle difficoltà di finanziamento.

Come Presidente della Fondazione Enpam che ho l’onore di rappresentare, plaudo, da sempre ed in modo convinto, alle iniziative sindacali e professionali che promuovono  l’informazione, la comunicazione e la formazione per contrastare la disinformazione, l’inerzia, la scarsa attenzione e l’ottica di breve periodo, che purtroppo caratterizzano il comportamento previdenziale di troppi nostri iscritti.