Patto generazionale: il Congresso di Napoli ribadisce l’orientamento verso le STP

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Nella tavola rotonda che ha chiuso il Congresso nazionale ANDI con i Giovani una voce unanime ha sancito che l’Odontoiatria in forma societaria debba guardare alla Società tra Professionisti come soluzione percorribile, per le implicazioni aggregative, deontologiche e fiscali.

Lo confermano, proprio in questi giorni, alcuni tra i contenuti della legge delega, come illustrato dettagliatamente nell’articolo che segue.

Il passaggio parlamentare del disegno di legge delega per la riforma fiscale conferma gli interventi previsti a favore dei liberi professionisti. Tra questi la statuizione del principio di neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione e aggregazione degli studi professionali.

In buona sostanza, quindi, una volta approvato il relativo decreto delegato il passaggio dal regime del reddito di lavoro autonomo, proprio delle strutture mono professionali e degli studi associati, al regime del reddito di impresa, che disciplina i redditi prodotti dalle società tra professionisti (STP), non verrà più considerato “realizzativo” (ossia che produce i medesimi effetti di una cessione a titolo oneroso) ai fini tributari.

Si tratta di una novità di grande rilievo, perché di fatto viene rimosso il principale ostacolo all’opzione per l’esercizio in forma societaria delle attività professionali. Anzi, per quanto riguarda i dentisti cadrebbe l’unico disincentivo alla trasformazione degli studi in STP. Infatti, se in via generale per i liberi professionisti rimane il vincolo previdenziale dovuto al doppio versamento del contributo integrativo sulle prestazioni rese dalle STP (per via del meccanismo che prevede una doppia fatturazione della prestazione: prima dalla STP al cliente, poi dal socio professionista alla STP), per i dentisti tale problematica non si manifesta poiché il regolamento ENPAM non contempla l’imputazione di tale contributo.

Quindi, una volta in vigore il principio statuito dalla delega fiscale, la scelta della STP risulterà ancora più appetibile. A ben vedere, i dati della FNOMCeO mostrano negli ultimi mesi una crescita rilevante delle STP, passate da 1261 unità di fine marzo a 1379 di inizio agosto, con un incremento che di quasi il 10% in 4 mesi. È un dato che dimostra come la platea dei dentisti italiani abbia cominciato ad apprezzare (e a cogliere) le rilevanti opportunità offerte dall’organizzazione in forma societaria.

In estrema sintesi, oltre alle economie di scala offerte dall’aggregazione degli studi professionali e all’opportunità di sviluppo dei fatturati generata dall’offerta di prestazioni specialistiche e integrate per effetto dell’intervento di una pluralità di professionisti, è un fatto che la STP offra una serie di vantaggi fiscali rispetto al tradizionale studio mono professionale o associato.

Ci si riferisce, in particolare, a tutto il pacchetto degli incentivi fiscali legati agli investimenti, che rimangono sostanzialmente circoscritti – con qualche non rilevante eccezione – ai soggetti titolari di reddito d’impresa. In altre parole, in relazione ai beni strumentali individuati nei vari programmi, gli investimenti generano crediti d’imposta se effettuati da STP, mentre i professionisti organizzati in strutture mono professionali o studi associati spesso non ne possono beneficiare. La stessa delega fiscale, peraltro, conferma tale impostazione, focalizzando la norma che disciplina gli incentivi fiscali sulle sole imprese ed escludendo di fatto i professionisti.

Ulteriore fattore di convenienza deriva dalla possibilità di incrociare la forma STP con l’opzione per il regime forfettario dei soci professionisti. Si ricorda, infatti, che il regime forfettario è precluso ai professionisti che:

  1. hanno realizzato compensi superiori a 85mila euro annui;
  2. partecipano a società a responsabilità limitata che esercitano la medesima attività del professionista e di cui detengono il controllo diretto o indiretto.

In relazione al primo vincolo, la partecipazione a una STP eleva di fatto il suddetto limite. Si pensi, ad esempio, a tre professionisti con compensi annui pari a 100mila euro e spese pari a 40mila euro cadauno. Nessuno di loro, quindi, può accedere al forfettario. Se però gli stessi professionisti decidono di organizzarsi in STP, la società realizzerà ricavi per 300mila e costi per 120mila euro con un margine di 180mila euro, che potrà riconoscere ai soci professionisti quale compenso per le prestazioni effettuate previa emissione delle relative fatture. In tal caso essi potranno usufruire del forfettario considerando che i compensi incassati ammonteranno a 60mila euro ciascuno.

Riguardo al manifestarsi del secondo vincolo, come precisato dall’Agenzia delle Entrate, occorre che si realizzino entrambe le condizioni: se per forza di cose l’attività del professionista socio di STP corrisponde a quella della società, non sempre il controllo si configura su tutti o parte dei soci. In estrema sintesi, infatti, il controllo si manifesta con il possesso del 50% delle quote societarie con diritto di voto, da intendersi sia in capo alla singola persona fisica che a soggetti legati da vincoli familiari, o con la capacità di esercitare una “influenza dominante” nell’assemblea ordinaria. Ad esempio, in una srl composta da tre soci non legati da vincoli familiari con quote societarie pari a un terzo ciascuno il controllo generalmente non si configura in capo a nessuno dei tre e, quindi, tutti hanno la possibilità di optare per il forfettario.

In ottica di pianificazione fiscale il tema assume una rilevanza non secondaria, considerando che i risparmi, in termini di minori imposte da versare, possono raggiungere percentuali vicine al 50%.

Andrea Dili – Dottore commercialista
Michele Pelillo – Avvocato tributarista